La trasmissione Report del 04/05/2021 ha dedicato il sevizio di apertura all’industria dei video game, a come questa può influire sulla vita dei nostri figli e a come gli acquisti in app o le micro transazioni previste in alcuni giochi possano spingerli verso il gioco d’azzardo patologico.
Nello specifico la Commissione Europea sta facendo studi in merito e alcuni paesi come Belgio, Olanda e Slovacchia hanno già legislazioni interne che vietano questo genere di acquisti. Le micro transazioni incriminate sono quelle che riguardano in particolare le loot boxes, ovvero si compra un pacchetto di oggetti virtuali utili per il gioco senza conoscerne il contenuto. Si è motivati a spendere di più per vincere, per essere alla moda o provare il brivido del premio a sorpresa. Secondo alcuni studiosi tutto ciò innescherebbe un meccanismo di dipendenza, in particolare quello della “quasi vincita”, e quindi spingerebbe i ragazzi a spendere in modo compulsivo per non perdere l’opportunità di vincere. Inoltre, favorirebbe anche, nei più giovani, un atteggiamento basato sull’affidamento sulla fortuna e sull’utilizzo del denaro, invece che sulle proprie abilità, per poter avanzare nel gioco senza far fatica.
Gli acquisti in app pongono un altro problema: è giusto che la paghetta data dai genitori venga utilizzata per comprare oggetti virtuali? A tal proposito il dott. Simone Feder, psicologo, giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Milano, coordinatore dell’Area Giovani e dipendenze nella comunità Casa del Giovane di Pavia, leader del movimento No Slot, in una intervista rilasciata ad Ansa Lifestyle, ha affermato di aver incontrato molti ragazzini delle scuole medie che spendevano soldi per l’acquisto di questi pacchetti.
In particolare ha raccontato: “Una delle situazioni che ricordo è quella di un ragazzino accompagnato a colloquio dai genitori alcuni mesi fa. Il papà aveva permesso in un paio di occasioni di spendere dei soldi per avanzare con il gioco, successivamente si è accorto che apparivano frequentemente spese, anche ingenti, effettuate dalla sua carta di credito. Convinto che fosse stata clonata, dopo aver parlato in famiglia dell’accaduto, si era recato dai carabinieri a denunciare l’accaduto. Si è poi reso conto che tali spese erano state effettuate dal figlio che, sfruttando i dati di cui era venuto a conoscenza, l’aveva utilizzata per continuare a proseguire i suoi acquisti di gioco”.
Come al solito di per sé niente è giusto e niente è sbagliato… è sempre il modo di utilizzo che fa la differenza… a chi il compito di intervenire in questo ambito?
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